Il “nulla” nelle parole di Piergiorgio Odifreddi

L’atto creativo di Dio, da Lui effettuato senza ricorrere a nulla e senza alcun principio preesistente, viene normalmente definito come creatio ex nihilo (creazione dal nulla). Sono state avanzate forti critiche a carattere storico biblico da parte di alcuni neodarwinisti. Secondo costoro, riuscire a negare l’atto divino della “creazione dal nulla” significherebbe negare, o comunque sminuire, l’idea di un Dio Onnipotente per rafforzare la conseguente idea secondo cui avrebbe “solo” plasmato l’universo da una qualche sorta di materia/energia eternamente preesistente ed indipendente da Dio stesso.

La creazione dal nulla è un’invenzione di Ireneo

Piergiorgio Odifreddi
Perché non possiamo essere cristiani
Milano 2007, p. 14.

Una volta offerta la possibilità che esista qualcosa di precedente al primigenio atto creativo di Dio, costoro vorrebbero insinuare l’idea che da tale “qualcosa”, con le sole leggi della fisica esistenti, la nascita e lo sviluppo dell’universo non avrebbe richiesto più alcun intervento divino(1).
L’affermazione sopra citata del prof. Odifreddi (rappresentante italiano dell’ateismo) tratta dal libro “Perché non possiamo essere cristiani” è palesemente falsa nella sua incompletezza. Ireneo(2), teologo, apologeta e Padre della Chiesa, per ribattere alle posizioni gnostiche, è sì il primo ad esplicitare, con lo zelo apologetico del suo tempo, la credenza nella “creazione dal nulla”, ma non è certo colui che l’ha “inventata”. A dimostrazione di questo, riporto nella tabella che segue solo alcune di numerose attestazioni precedenti il 180 d.C., periodo in cui scrive Ireneo (grassetto aggiunto)

[…] Dio dal nulla ha fatto essere tutte le cose con la sua sola volontà e potenza che servì da sostanza […] Essi non credono che Dio potente e infinitamente ricco abbia creato la stessa materia e non sanno quanto può la divina sostanza spirituale […]

Ireneo (Contro le Eresie, 2.10:2-4)
anno 180 d.C. circa.

Prima di tutto credi che vi è un solo Dio il quale ha creato tutte le cose e le ha ordinate dal non essere all’essere […]

Erma (Il Pastore, Primo Precetto, XXVI.1)
anno 140 d.C. circa.

O tu, colui che ha fatto la Terra ascoltami; colui che ha fissato il firmamento con la sua parola e ha reso stabile l’altezza dei cieli con lo spirito, che ha chiamato fin dal principio del mondo quel che ancora non era, e tutte le cose ti obbediscono.

Apocalisse di Baruc (XXI, 4)
anno 100 d.C. circa.

Per fede comprendiamo che i mondi sono stati formati dalla parola di Dio; così le cose che si vedono non sono state tratte da cose apparenti.

Lettera agli Ebrei (11,3)
anno dal 61 al 70 d.C. circa

Il Signore mi disse: “[…] prima che tutto fosse all’inizio, tutto ciò che ho creato dal non essere all’essere e dall’invisibile al visibile […]”

Libro dei segreti di Enoc (XXIV, 1,2)
anno 70 d.C. o prima.

Dal Dio della Sapienza viene tutto ciò che è e che sarà. Prima che qualsiasi cosa esistesse, Egli stabilì il progetto e quando, come decretato, esse vennero all’esistenza, ciò fu in armonia col Suo glorioso proposito adempiendo al loro compito senza modifica

Rotolo di Qumran 1QS
(Regola della Comunità, 3,25)
anno 100 a.C. circa.

I cieli furono fatti dalla parola del SIGNORE, e tutto il loro esercito dal soffio della sua bocca.

Salmi (33,6)
anno 1.000 a.C. circa, secondo la scuola conservatrice.

L’obiezione, avanzata dallo stesso Odifreddi (op.cit. pag. 14), secondo cui un’opera apocrifa(3) (cioè non elencata fra i libri canonici) non può venire utilizzata per attestare la credenza nella creazione dal nulla, è priva di senso. Infatti non si tratta tanto di stabilire se una dottrina sia teologicamente vera, quanto se sia rintracciabile storicamente lungo i secoli. Odifreddi confonde il piano storico con quello teologico: la valenza teologica la si trae dai libri(4) canonici mentre dagli apocrifi si trae la valenza storica (laddove ve ne sia).

Se è possibile indicare un passo biblico dal quale gli agiografi possono aver tratto l’idea (in nuce) della “creazione dal nulla”, esso è sicuramente Genesi 1,1

Traslitterazione: Bereshit bara Elohim et hashamayim ve’et ha’arets
Traduzione: Nel principio Dio creò i cieli e la terra

Il verbo ebraico “bara” ( בָּרָא = “creò”) è espresso allo stato perfetto e ciò indica un’azione finita. Quindi, in Genesi 1,1 l’azione di creare i cieli e la terra era stata completata prima delle successive fasi descritte nei versetti seguenti.

Le parole hashamayim / ha aretz (i cieli / la terra) costituiscono un’espressione avente funzione meronimica, ad indicare l’universo, il cosmo intero. In principio Dio creò l’universo fisico; evidentemente prima di tale “principio” (qualunque cosa ciò significhi), non vi era nulla di fisico. Nel tentativo di negare questa semplice inferenza, Odifreddi afferma:

Se però si va a leggere cosa dice effettivamente l’originale ebraico del Genesi, si trova soltanto un testo che nell’edizione ufficiale della Bereshit Rabah dice: “In Principio della creazione di Dio del cielo e della terra, quando la terra era informe e vuota […]”

[…] il buon Elohim del Genesi non è altro che un povero Demiurgo […] che lavora su una materia preesistente chiamata “terra informe” […]

Piergiorgio Odifreddi
Perché non possiamo essere cristiani
Milano 2007, p. 15.

Sorvoliamo sull’invito di Odifreddi a leggere l’ “originale” ebraico (di quale originale starà parlando? Forse dell’originale scritto da “Mosè”?); non esiste un solo manoscritto che vocalizzi Genesi 1,1 come indicato da Odifreddi, ovvero che riporti il termine bero invece di bara(5) . Quella che lui scambia per “lettura originale” è una nota interpretazione medievale che, visto il costrutto atipico del periodo, propone l’ipotesi che l’agiografo intendesse bero. Naturalmente vi sono numerosi studiosi che la pensano diversamente e sostengono che l’atipicità del costrutto non sia sufficiente (dal punto di vista grammaticale) per adottare quello che, a tutti gli effetti, è solo un emendamento congetturale.

Da una parte abbiamo quindi la lezione così come riportata nei manoscritti:

In principio Dio creo i cieli e la terra

dall’altra abbiamo l’interpretazione medievale, che modificherebbe la lezione in

Quando Dio iniziò a creare i cieli e la terra, la terra era informe […]

In quest’ultimo caso la “terra informe” sarebbe esistita prima dell’inizio in cui Dio cominciò a plasmarla: questo è l’ “originale” offerto da Odifreddi ai suoi lettori, lasciandoli però totalmente all’oscuro delle problematiche legate al versetto. Attraverso un’associazione alla quale sono iscritti professori di ebraico che insegnano in Università più o meno rinomate, site in diverse nazioni, ho chiesto e compilato nella seguente tabella alcuni pareri che riassumono la posizione accademica relativa a questa interpretazione medievale. Ho omesso i nomi dei docenti per questioni di privacy.

Diverse affermazioni sostengono la lezione masoretica, per esempio la n.13 afferma che ci sono convincenti argomenti linguistici contro la lettura bero. Anche la n. 14 afferma che non ci sono stringenti argomenti linguistici contro la vocalizzazione masoretica (quindi sostiene anch’essa la lettura “bara”). Dello stesso tenore è la 15, dove possiamo leggere:

In tabella sono elencati anche pareri che preferiscono emendare la lezione a favore di bero e, in ultimo, c’è chi “salomonicamente” (p.e. la n. 18) sostiene possibile sia l’una che l’altra lettura. Come si può notare, la situazione è leggermente più complessa del semplicistico quadro offerto dal prof. Odifreddi. In un libro che ha la pretesa di spiegarci “Perché non possiamo essere cristiani”, ci si aspetterebbe un livello di approfondimento leggermente più elevato.
Sorge anche il dubbio che Odifreddi abbia qualche lacuna con l’ebraico, e ciò pare evincersi dalla sua affermazione sul fatto che Elohim vada tradotto al plurale, con “dei”.

Il primo versetto del Genesi andrebbe tradotto letteralmente con “In
principio gli dei crearono […]”. Si eliminerebbe così ogni ambiguità sulla
natura plurima e demiurgica di Elohim […]

Piergiorgio Odifreddi
Perché non possiamo essere cristiani
Milano 2007, p. 15.

Il plurale, in ebraico, non si usa solo per indicare la “molteplicità” dei soggetti ma anche, ad esempio, nel caso si voglia sottolineare l’ “estensione” di un singolo soggetto (vedi “cielo” o “mare”) o l’indefinibilità, o l’incommensurabilità di un soggetto, come nel caso di Dio. E’ la costruzione della frase a dire se il soggetto è singolare o plurale. Se in Genesi 1:1 ci fossimo trovati davanti ad un plurale, il testo sarebbe stato bereshit baru (con il verbo al plurale e non al singolare).

Un’ulteriore affermazione di Odifreddi da prendere in esame è quella relativa alla creazione del Sole e della Luna

Nella sua opera di creazione seguono poi le piante, e solo il quarto giorno
arrivano il Sole e la Luna

Piergiorgio Odifreddi
Perché non possiamo essere cristiani
Milano 2007, p. 15.

Questo obiezione viene anche affrontata in uno scambio pubblico fra il prof. Odifreddi e il prof. Catalano(6). Riporto, in breve, la risposta puntuale del prof. Ferdinando Catalano:

La contraddizione della comparsa della vegetazione che precede la comparsa del Sole e della Luna è solo apparente. Nel verso 1 si dice che Dio “creò in principio i cieli e la terra”. Con la parola “cieli” dobbiamo intendere tutti i corpi celesti, Sole compreso. Il racconto dei giorni creativi – con riferimento alla preparazione della Terra – è scritto dal punto di vista di un osservatore sulla Terra ed inizia effettivamente dal verso 2 “Ora la Terra era informe e vacua…”. Il primo giorno Dio creò la luce. Un osservatore sulla Terra quale luce poteva vedere? Evidentemente quella del Sole, dunque il Sole c’era già ma non era visibile il disco solare, forse a causa di eccessiva polvere cosmica presente oltre l’atmosfera (per fare un esempio, quello che avviene in certe giornate di fitta nebbia: il Sole c’è, la luce arriva attenuata, ma non si vede il disco solare). Quale che fosse la causa reale, essa fu rimossa il quarto giorno perchè Dio “faceva” i due luminari (n.b.: il verbo “fare” non c’è in Gen 1:14, c’è hajh, forma del verbo essere, accadere, diventare), quello maggiore per “regolare” il giorno e quello minore per “regolare” la notte, nel senso che rese adesso visibile il disco solare e lunare. Si osservi che nel contesto la regolazione del giorno e della notte è riferita alla loro durata temporale (“… servano da segni per le stagioni, i giorni e gli anni …”) cosa che è possibile solo se è visibile il moto apparente del disco solare e lunare. In coerenza con questa interpretazione, il verbo usato per creare i “cieli” è barà e secondo il Grande Lessico dell’Antico Testamento, l’uso teologico di questo verbo esprime che “per mezzo dell’ordine di Dio, senza premesse, qualcosa di nuovo che prima non esisteva viene ad esistere senza altri interventi” (GLAT 1574:1575) mentre il verbo usato in Gen 1:16 per “fare” i luminari è asah, una forma del verbo fare con uno spettro semantico ampio (fare, produrre, preparare, plasmare) che può anche implicare una materia già esistente.

http://evoluzionescientifica.altervista.org/odifreddi-vs-catalano/

Personalmente non considero l’uso del verbo bara come sufficiente per chiarire il passaggio. E’ sicuramente vero che questo verbo è specifico per la creazione divina (non esistono ricorrenze bibliche dove tale verbo sia retto da un soggetto diverso da Dio) ma è anche vero che il verbo “creare” e il verbo “fare” sono legati da una relazione semantica di tipo iponimico. L’ampio spettro semantico del secondo può, in determinati casi sovrapporsi al primo. E’ quindi molto difficile stabilire dal solo verbo quella che è la reale intenzione narrativa dell’agiografo. Questo non significa che ciò sia impossibile. Infatti, a mio parere, non è tanto la scelta di un verbo isolato ad essere determinante, quanto la scelta di un verbo differente che l’agiografo preferisce scrivere nel passaggio di Genesi 1:14ss. Se avesse voluto intendere la creazione fisica del Sole e della Luna avrebbe verosimilmente utilizzato lo stesso verbo usato in Genesi 1:1 (costruendo un parallelismo fra i due versetti). Sembra evidente che l’agiografo voglia concentrare l’attenzione del lettore sull’uso della funzione calendariale, piuttosto che sulla creazione fisica degli astri.

La lingua ebraica è paratattica, le congiunzioni waw non subordinano ma relazionano in maniera diretta. “Si facciano luminari […] e dovranno servire come segni” deve intendersi con “Si facciano luminari […] per servire come segni”. L’accento è posto sulla funzione, non sulla loro creazione. L’agiografo sembra ce la metta tutta per far capire che nel versetto 14ss non sta parlando del medesimo evento narrato nel versetto 1 e 3: usa verbi diversi, usa sostantivi diversi e sottolinea più volte la funzione dei luminari.
A differenza delle popolazioni circostanti, che adoravano il Sole e la Luna come divinità, gli ebrei ricevettero istruzioni da Dio su come avrebbero dovuto considerare questi astri: dei marcatori temporali.
Nè il versetto 1 nè il versetto 14ss parla della creazione fisica del Sole. Non vi è nulla nel testo che possa impedire una lettura concordista così come esposta dalle parole del prof. Catalano sopracitate.
Sembra inoltre sfuggire il valore poetico che caratterizza i primi capitoli del libro della Genesi. Nella lingua ebraica, più che sulla fonetica, la poesia si basa sulla struttura dei costrutti, sui parallelismi, sulle palistrofi, sui chiasmi, etc.. L’agiografo costruisce il racconto in modo da creare parallelismi fra i primi tre giorni e i secondi tre giorni della settimana creativa.

Come ultima riflessione, vorrei soffermarmi su una coincidenza che, anche in questo caso, potremmo definire “poetica”: la prima lettera di Genesi 1:1 (beth) è graficamente chiusa su tre lati.

L’unico lato aperto è quello in direzione del testo; quasi come a volerci dire che, prima di quel “principio” in cui Dio iniziò a creare, all’uomo non è dato proiettare lo sguardo.

Il “matematico impertinente” ha deciso di dare al primo capitolo del suo libro il seguente titolo: “Cristiani e cretini”. Certo, un incipit davvero eloquente!
Ma se è vero, come dice il nostro autore, che il termine “cretino deriva da cristiano” è anche vero che non tutti i cretini hanno poi deciso di abbracciare la fede nel Dio della Bibbia: qualcuno preferisce presentarsi come Tuttologo Neodarwinista.

Note

1 – In tale direzione argomenta, ad esempio, S. Hawking nella sua fatica letteraria: Il Grande disegno – perché non serve Dio per spiegare l’universo, Milano, 2012.
2 – Nato a Smirne verso il 130 d.C. e morto a Lione all’inizio del III secolo.

3 – Odifreddi si riferisce al passo di 2 Maccabei 7,28.
4 – Apocalisse di San Giovanni 4,11; Lettera agli Ebrei 11,3; Salmi 33,6, etc…

5 – Sono stati trovati solo due manoscritti premasoretici del libro della Genesi: il 4QGenb (4Q2) e il 4QGeng (4Q7). Quest’ultimo è frammentario e nel primo rigo mancano le parole br’shit br’. Il 4Q2 segue fedelmente le lezioni del masoretico. Naturalmente, essendo privi di punti vocalici, non possono dirimere la questione.

6 – http://evoluzionescientifica.altervista.org/odifreddi-vs-catalano