Hoc est corpus meum, secondo Huldreich Zwingli

La teologia sacramentale di Zwingli

Il concetto fondamentale di “sacramento” consiste nel considerare determinati riti ecclesiastici ed azioni liturgiche come segni visibili della grazia invisibile di Dio; essi funzionerebbero in un certo senso come “canali della grazia”. La madre di tutta la teologia sacramentale, cioè quella agostiniana, emerse nell’ambito della disputa donatista. Mentre i donatisti sostenevano l’inefficacia dei sacramenti celebrati da sacerdoti indegni, Agostino, di contro, sottolineò che l’efficacia del sacramento dipende dalla forza del sacramento stesso e non dalla dignità spirituale del celebrante. Un approccio, quello agostiniano, che avrebbe rivoluzionato e formato tutta la teologia sacramentale successiva.

Come è noto, fu Tertulliano a tradurre la parola greca “mysterion” con “sacramentum”, che significa “qualcosa di consacrato”; i primi secoli della chiesa videro uno slittamento terminologico  che trasferì il termine dall’ambito cristologico e soteriologico a quello cultuale. Ma è solo con la prima scolastica che si mise definitivamente l’accento sul segno. Nel corso di tutto il medioevo, il concetto agostiniano di sacramento si sviluppò prevalentemente nel senso di una marcata riduzione della distanza fra signum e res, arrivando ad accettare il sacramento come efficace non solo a prescindere da chi lo impartisce, ma anche a prescindere da chi lo riceve[1]. Fu questo che infuocò gli animi del medioevo. La concezione cattolica secondo la quale un sacramento ha valore ex opere operato era, per alcuni, al limite del “magico”.

Se gettiamo uno sguardo nel XVI secolo, notiamo come il grande fronte della riforma protestante non riuscì a compattarsi contro la Chiesa cattolico-romana[2] per numerosi motivi, uno fra questi, sicuramente non secondario, fu la questione sacramentale dell’eucarestia

Su questo tema gli animi e le confessioni si sono appassionatamente divisi, e a scorrere a fiumi non fu solo l’inchiostro.

I Sacramenti secondo Zwingli

Zwingli fu senza dubbio colui che si spinse più in là di ogni altro nella sua critica filologica e teologica al concetto di sacramento. Dapprima considerò il sacramento alla stessa stregua di un giuramento, di un impegno preso da Dio nei nostri confronti e successivamente di un impegno reciproco di lealtà e fedeltà. Va ricordato che Zwingli era cappellano delle milizie della Confederazione svizzera; ispirandosi all’uso militare del giuramento, sostenne che il sacramento è sostanzialmente una dichiarazione di fedeltà che un individuo rivolge alla comunità. Egli usa il vocabolo tedesco Pflichtzeichen, ossia “segno di fedeltà”, per designare l’essenza del sacramento.

Zwingli sviluppa l’idea dei sacramenti subordinati alla predicazione della Parola di Dio. La predicazione è quella che fa nascere la fede, i sacramenti sono semplicemente un’occasione per dimostrare pubblicamente tale fede. Sono come il sigillo su una lettera: si limitano a confermarne il contenuto.

Nella lettera del 16 giugno 1523 al maestro Thomas Wyteenbach, egli manifestò per la prima volta con chiarezza il suo pensiero sui sacramenti e sulla Santa Cena.

Quando Zwingli dà alle stampe il suo De vera et falsa religione Commentarius, nel marzo del 1525, la polemica sulla Cena e sui sacramenti è ormai scoppiata. La parte sulla “Cena” del Commentarius, per la sua ampiezza e sistematicità, costituisce un vero e proprio trattato, infatti lo scritto venne stampato e fatto circolare a separatamente.

Zwingli scrive: “Al solo udire la parola sacramento, molti pensano a qualcosa di grande e di santo, che abbia in sé il potere di liberare la coscienza dal peccato. Altri affermano che mentre esteriormente tu compi il sacramento, si verifica con certezza la purificazione interiore. Altri ancora hanno sostenuto che il sacramento è un segno che viene dato quando la purificazione spirituale è già avvenuta. Il termine sacramento indica una certa quale iniziazione-introduzione, o una obbligazione. Non può essere altro che una pubblica conferma, senza alcuna capacità di liberare la coscienza”.

Con una certa logica stringente, che fa quasi di Zwingli un razionalista ante-litteram, egli continua: “Molti vengono battezzati ma, mentre ricevono il battesimo, sentono solo il brivido dell’acqua, non la remissione dei peccati, la liberazione della loro mente. Cornelio e la sua famiglia avevano ricevuto lo spirito Santo prima di essere bagnati dall’acqua. Erano dunque certi della grazia di Dio prima del battesimo. Non è pertanto sostenibile l’opinione secondo la quale i sacramenti sono segni tali per cui, quando si compiono nell’uomo, avviene contemporaneamente nell’interiore ciò che è significato dai sacramenti. Se infatti lo Spirito fosse costretto ad operare interiormente solo quando noi lo rappresentiamo all’esterno con i segni, sarebbe determinato da questi, mentre invece avviene proprio il contrario”.

La ferma conclusione di Zwingli, è la seguente: “Dunque i sacramenti sono segni o cerimonie con le quali il fedele dimostra davanti alla chiesa di essere candidato alla militanza, un soldato di Cristo, e rendendo molto più certa la chiesa della tua fede che te stesso. Se infatti la tua fede non fosse altrimenti pienamente compiuta, ma solo attraverso la conferma del segno cerimoniale, non sarebbe fede”. Il cristiano dimostra pubblicamente la sua fedeltà alla chiesa dapprima con il battesimo e successivamente con la partecipazione all’eucarestia.

Zwingli non solo ribadisce il suo rifiuto del concetto di transustanziazione, della messa come sacrificio, ma spiega l’equivocità e l’estraneità della parola “sacramento” rispetto alla tradizione cristiana. Lutero reagisce violentemente al simbolismo zwingliano, certo di essere impegnato in una battaglia contro forze demoniache; la questione della presenza corporale di Cristo negli elementi eucaristici diventa per lui una questione stantis aut cadentis reformationis.

Hoc Est Corpus Meum

La svolta nel pensiero di Zwingli si ebbe nel 1524, quando venne a conoscenza di una lettera dell’umanista olandese Cornelius Honius, in cui si sosteneva l’interpretazione di “questo è il mio corpo” nel senso di “questo significa il mio corpo”. A partire da quell’anno, Zwingli sostenne pubblicamente con una certa forza le idee di Hoen. L’anno seguente Ecolampadio (Riformatore di Basilea) si unì al dibattito affermando che gli scrittori del periodo patristico non sapevano nulla di transustanziazione né delle idee di Lutero sulla “presenza reale”, ma tendevano verso una posizione che non sembrava affatto difforme dalla concezione zwingliana.

Due anni dopo, nel febbraio del 1526, Zwingli decide di rivolgersi ai laici e scrive, in lingua tedesca, “Una chiara istruzione sulla Cena di Cristo”; in questo scritto egli offre ai laici la sintesi del suo pensiero sulla Cena, finora accessibile unicamente in latino. In realtà egli non nega una presenza reale di Cristo nella Cena; la sua presenza non è però nel pane e nel vino ma nell’anamnesi, cioè nell’atto compiuto dalla comunità nella forza dello Spirito e in obbedienza alla parola ricevuta.

Zwingli non doveva difendere la sua interpretazione soltanto da Lutero e dai luterani, i quali credevano nella “presenza reale” pur non condividendo la spiegazione transustanziale, ma al tempo stesso doveva difendersi dal fronte cattolico, che rifiutava sia le ragioni luterane che ancor di più quelle zwingliane. Per Lutero e Melantone, quella di Zwingli non era solo una delle possibile interpretazioni della Cena, ma la sua stessa negazione e quindi andava respinta incondizionatamente.

Zwingli, assolutamente certo di aver compreso il reale significato delle parole di Cristo, affrontò tutto l’argomento da un triplice punto di vista:

  • logico e razionale: “Perchè opprimiamo le menti dei fedeli con queste chiacchiere che nessun intelletto può comprendere? Che cosa nasce dalla fede quando è costretta a credere cose così strane e così ripugnanti per ogni intelletto? Nient’altro che il dubbio”.
  • scritturale: “Qui ho trovato quel diamante inscalfibile: “la carne non serve a nulla”. (Giov. 6:63)
  • storico: “… riferirò le testimonianze degli antichi, i quali, come si vedrà dalle loro stesse parole, hanno escluso da questo sacramento o pane simbolico la carne corporea, anzi qualsiasi carne”

Zwingli, all’interno di un mondo religioso già frammentato, costituiva una “spina nel fianco” per tutti. Non temeva di essere da solo contro il resto del mondo religioso; le sue argomentazioni logiche e stringenti, la sua enorme preparazione biblica e storica gli permisero di affrontare qualsiasi interlocutore e di diffondere le sue ragioni con una forza tale da poter essere contrastata dai suoi avversari solo attraverso insulti e scomuniche. Per usare le sue stesse parole: “Non mi si venga a dire: chi può avere questo coraggio, mentre tutto il mondo giudica diversamente? Le più grandi verità furono sempre conosciute da pochissime persone. E così può darsi che non siano dei temerari coloro che, a proposito del pane dell’eucarestia, esprimono un parere diverso dalla massa”.

Tutta la posta in gioco era racchiusa nell’ est di Lutero e dei cattolici e nel significat di Zwingli; lasciamo che sia proprio lui a spiegarci scritturalmente la sua esegesi:

“Il fondamentale discorso di Cristo nel cap .6 di Giovanni non viene rettamente inteso dai più, anzi audacemente stravolto. Cristo, vedendo che coloro che lo seguivano lo facevano per interesse materiale, per saziare lo stomaco, disse che lui non era venuto per nutrire il corpo ma per nutrire lo spirito. Dice di cercare il cibo che non perisce. Non possiamo trovare altro cibo di cui parla se non la fede in Cristo. Egli, riferendosi chiaramente alla fede, disse “cercate il cibo che non perisce”. Vedendo che non comprendevano il senso, disse apertamente “sono io il pane della vita. Chi viene a me non avrà più fame”. E’ dunque la fede che sazia ogni fame e ogni sete. “Sono io il pane della vita”, il Cristo in tutto questo capitolo, con “pane” e “mangiare” non intende dire altro che “evangelo” e “credere”, ma in nessun modo parla della manducazione sacramentale. I giudei non comprendevano il senso delle parole di Cristo: “come può costui darci la sua carne da mangiare?” e inorridivano a quelle parole. Cristo aggrava la loro ignoranza: “In verità, in verità vi dico che se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda”. Non avendo voluto accogliere il senso mistico del discorso, benché lo avesse spiegato in modo tale da non potersi pretendere di più, li ha feriti più duramente e li ha resi ancora più ciechi. Così hanno meritato e questo è il giudizio di Dio. Il cibo di cui parlava Gesù era un cibo spirituale: “È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita”. Quando dicono che si deve credere fermamente che percepiamo sensibilmente la carne corporea, rispondo: so che cosa è la fede, ma so anche che cosa sono i sensi. Tu invece che lo ignori, o che ritieni che io lo ignori, pretendi di opporre le tue oscurità alla mia chiarezza. La fede non costringe i  sensi a confessare di sentire ciò che non sentono, ma ci attira alle cose invisibili e in queste pone tutta la speranza. Se quando facciamo il rendimento di grazie, insegniamo che mangiamo la carne corporea e sensibile di Cristo, non è solo empio ma anche stolto e assurdo, a meno che non supponiamo di dover essere tutti antropofagi”.

Zwingli supporta il suo ragionamento con una serie di passi biblici presi sia dall’Antico che dal Nuovo Testamento nei quali il verbo “essere” è palesemente utilizzato come sinonimo del verbo “significare”[3].

La sua inamovibile conclusione fu che “l’eucarestia o Cena del Signore non è altro che la commemorazione nella quale coloro che credono fermamente di essere riconciliati con il Padre mediante la morte e il sangue di Cristo, annunciano questa morte che dà vita, ossia lodano, ringraziano, predicano. Di conseguenza, coloro che si radunano per questa celebrazione, ossia per commemorare e annunciare la morte del signore, testimoniano di essere membra dello stesso corpo, di essere un unico pane”.

La Testimonianze dei Padri

Zwingli non si sottrasse dall’esame delle testimonianze patristiche, anzi affermò che tutte queste non facevano che confermare la sue esegesi. Come disse lui stesso: “Risulterà da queste testimonianze che l’uso dell’eucarestia era completamente diverso da quello che ci hanno imposto i pontefici romani; … [i Padri] hanno escluso da questo sacramento o pane simbolico la carne corporea, anzi qualsiasi carne”.

Zwingli cita, tra i tanti, Tertulliano: “nella sua opera Contro Marcione, libro I cap. XIV, così scrive: – ‘ Egli, Iddio, non ha disprezzato il pane, che rappresenta il suo stesso corpo’.”

Cita inoltre Origene: “…poiché, sia nella sostanza che nell’uso, egli sembra condividere la nostra tesi. Dall’Omelia 35 su Matteo: – ‘questo pane, che il Dio-Parola afferma essere suo corpo, è la parola che nutre le anime …. E questa bevanda, che il Dio-Parola afferma essere suo sangue, è la parola che disseta e inebria i cuori di coloro che bevono’. Quindi il pane è la parola di giustizia, mangiando la quale le anime vengono nutrite”.

Le numerose citazioni di Zwingli non fanno che giustificare l’affermazione già citata di   Ecolampadio, di Bucero e altri, secondo i quali gli scrittori del periodo patristico non sapevano nulla di transustanziazione né delle idee di Lutero sulla presenza reale, ma tendevano verso una posizione che non sembrava affatto difforme dalla concezione zwingliana.

Francesco Arduini


[1]    Pur se la norma scritta prevede la disposizione di colui che riceve, dobbiamo ammettere che nella prassi questa “disposizione” non può annullare il valore del sacramento. Tant’è che il cattolicesimo considera il pedo-battesimo “operante” a prescindere dalla volontà del ricevente. Non solo “operante” ma anche “fruttifero” in quanto ad esso è ancorato il “paradiso” in caso di morte del nascituro

[2]   La Chiesa cattolico-romana vede nei sacramenti sette mezzi di salvezza efficaci come segni. Secondo la Lumen Gentium, la stessa Chiesa sarebbe “sacramento”; contrariamente la pensano diversi teologi protestanti, vedi BEM 1982-90, 143ss

[3]    Gen 41:26; Mt 13:38; Gv 10:9; Gv 14:6; Gv 15:5; Gv 8:12