ANGELO PALEGO e l’arca di Noè

la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità.


ADDENDUM: in calce all’articolo sono stati inseriti i commenti ricevuti in ricordo di Angelo Palego

L’uomo.

Angelo Palego nacque a Fabriano, nelle Marche, nel febbraio del 1935.  Era solito raccontare come i suoi genitori decisero di dargli quel nome in memoria della sorellina Angela, scomparsa prematuramente prima della sua nascita. Un nome che lui stesso collegava alla radice etimologica di “messaggero dell’antichità”: da anghelos, che significa “messaggero” più “palego”, ricondotto al greco paleo, che significa “antico”. Nomen omen, direbbero i latini; sì perché Angelo Palego si è fatto conoscere fino all’ultimo giorno della sua vita, cioè il 15 agosto 2021, come colui che spese ogni risorsa per la ricerca di quello che potremmo definire il “messaggio dell’antichità” per antonomasia, il reperto archeologico che avrebbe svelato i misteri di un mondo scomparso da millenni a seguito di un cataclisma biblico: la “leggendaria” Arca di Noè.

Durante la sua 23a spedizione sul Monte Ararat, dove secondo la tradizione si trovano i resti del biblico vascello, Angelo si ammala di Covid e viene portato all’ospedale di Doğubayazıt, una cittadina di circa 120.000 anime a una trentina di chilometri dalla montagna sacra. A seguito di un peggioramento del quadro clinico la struttura ospedaliera decide per il suo trasferimento presso il centro ospedaliero di Erzurum, a 280 chilometri. Il fisico di Angelo non regge e da lì a poco morirà per complicazioni cardiache all’età di 86 anni.

il Monte Ararat (Ağrı Dağı) all’estrema destra dell’immagine. In blu il percorso da Doğubayazıt a Erzurum

Prima del pensionamento, Angelo lavorò molti anni come tecnico specializzato presso la Columbian Chemicals Company, ora parte dell’Aditya Birla Group, sita in San Martino di Trecate in provincia di Novara. Pur non avendo mai conseguito una laurea, si guadagnò sul campo il titolo di “ingegnere” grazie al suo ingegno e alla sua tecnica applicata alla risoluzione delle problematiche collegate agli impianti di produzione del nero di carbonio. La sua brillante carriera alla Columbian lo portò a ricoprire ruoli di responsabilità anche nella gestione dei vari impianti situati all’estero. 

Da convinto evoluzionista qual era, la sua vita avrebbe subito una svolta il giorno in cui un suo collega di lavoro, che al contrario di lui credeva fermamente nella creazione divina, lo prese bonariamente in giro chiedendogli: “ma tu credi veramente che tuo ‘nonno’ fosse un pesce?”. Stando a quanto raccontava spesso Angelo, quelle parole lo fecero riflettere e, durante una delle sue lunghe trasferte, decise di studiare tutti i libri che quel suo collega Testimone di Geova gli aveva prestato, verificando personalmente quanto apprendeva con quanto poteva leggere nella Bibbia. Fu in tale occasione che si convinse di aver trovato la verità, tutta la verità e nient’altro che la Verità (quella con la “V” maiuscola).

Il ricercatore.

In seguito Palego si unì alla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, divenendo pastore[1] della comunità dei fedeli che si riunivano a Trecate. A motivo dell’ulteriore incarico che ricopriva di Rappresentante Stampa per i Testimoni di Geova, divenne molto conosciuto in ambito giornalistico. 

Nel 1985 decise di prendere alla lettera il racconto del Diluvio Universale contenuto nei capitoli da 6 a 8 del libro della Genesi, e di partire con una spedizione alla ricerca dell’Arca. Quando nel 1989, alla sua 5a spedizione, dichiarò di aver localizzato l’Arca sul versante nord-ovest del Grande Ararat, la notizia rimbalzò su tutti i media. Palego, anche a motivo della disavventura del 1993 che lo vide prigioniero del partito PKK durante la sua 9a spedizione, fece parlare di sé e delle sue ricerche sull’Ararat attraverso articoli, servizi televisivi e salotti di discussione (memorabili i suoi interventi al Maurizio Costanzo Show).

Ventitre spedizioni in 36 anni, un record destinato a rimanere a lungo negli annali della ricerca biblico-archeologica. Ma dove trovava i finanziamenti? Mettere insieme una squadra per affrontare una singola spedizione di questo tipo, può costare decine di migliaia di euro. La sua rete di conoscenze gli permetteva di trovare sponsor inimmaginabili. Per esempio, una fra le tante spedizioni venne interamente finanziata da un famoso marchio di cucine e arredamenti per la casa. Se la spedizione avesse avuto esito positivo, il marchio di queste cucine sarebbe stato accostato al legno dell’Arca, un legno in grado di superare indenne il trascorrere dei millenni: indubbiamente un’operazione di marketing azzeccatissima. Se la spedizione avesse avuto esito negativo, così come avvenne, allora nessuno avrebbe dovuto sapere nulla del finanziamento.

Ovviamente utilizzò anche le proprie risorse personali, ma gli sponsor non mancavano di certo. Pur volendo rimanere dietro le quinte, molti erano interessati alle ricerche di Palego, persino nelle alte sfere governative. Ci fu un’occasione in cui il ricercatore piemontese venne convocato in un noto palazzo romano, dove ad attenderlo vi erano funzionari governativi interessati a conoscere tutte le informazioni che Palego possedeva relative alla localizzazione del biblico vascello; entrato in un’enorme sala con tavolo ovale, la prima cosa che quegli uomini gli dissero, subito dopo i saluti di rito, fu: “le ragioni per cui lei è stato convocato qui, devono restare riservate. Se si venisse a sapere di questo incontro, noi negheremo tutto”. Vere e proprie scene da film!

Alla raccolta dei fondi contribuì anche la pubblicazione dei suoi libri, il primo nel 1990 e il secondo nel 1999. I titoli di questi libri, “Ho camminato sull’Arca di Noè”[2] e “Come ho trovato l’Arca di Noè”[3], lasciano ben poco spazio a eventuali dubbi su quella che fosse la “matematica certezza” dell’autore in merito all’esito delle sue spedizioni, ma la realtà dei fatti è sostanzialmente diversa. Esaminiamo brevemente i punti principali della sua ricerca.

La premessa.

Palego sosteneva che, prima di intraprendere qualsiasi ricerca sul campo, avesse stabilito il luogo esatto dove l’Arca si fermò soltanto attraverso lo studio della Bibbia. Uno degli elementi fondamentali per il suo ragionamento è che l’Arca avesse una sola finestra, e che da tale finestra l’angolo di visuale di Noè fosse molto ristretto. Quando Noè dichiara di aver visto “la cima dei monti”, queste “cime”, proprio a motivo della visuale ristretta, non potevano che essere quella del Grande Ararat e quella del Piccolo Ararat. Ciò collocherebbe la famigerata “X” dove scavare, sul versante nord-ovest del grande Ararat, su un pianoro ad oltre 4500 metri di altezza.

le due cime dei monti Ararat

Esistono due problemi di fondo che minano alla base la narrazione di Palego. Innanzitutto la Bibbia non dice affatto che Noè avesse una visuale ristretta; non si può essere categorici in tal senso, tanto più che l’Arca possedeva uno “tshoar”, cioè un’apertura, che si sviluppa per tutta la lunghezza del tetto e che avrebbe potuto offrire una visuale a 360°. Ma la cosa più determinante è dettata dal fatto che il famoso scalatore Claudio Schranz è arrivato più volte proprio sulla “X”, e questo è quanto da lui dichiarato in data 19 agosto 2021:

“confermo che da quel punto dove Angelo sosteneva si fosse posata l’arca è veramente impossibile vedere la vetta del piccolo Ararat. In quel punto ci sono stato 4 volte.”[4]

La ricerca sul campo.

Palego sosteneva che a seguito del terremoto avvenuto nel 1840 che colpì proprio la zona dell’Ararat, l’Arca fosse scivolata andando ad incastrarsi in una gola a circa 300 metri più in basso. In quella posizione localizzò nel 1989 due crepacci paralleli, proprio sopra una “struttura” visibile dalla seguente foto:

versante nord-ovest del Grande Ararat

La sua conclusione fu che l’ombra visibile in foto è il frontale dell’Arca e i due crepacci paralleli erano dovuti al fatto che il ghiacciaio, muovendosi verso il basso, veniva “tagliato” dagli “spigoli”[5] di quella struttura. La realtà dei fatti è che alcuni ricercatori arrivarono sul posto, sopra la “struttura”, e poterono constatare che si trattava solo di roccia[6]. Come rispondeva il ricercatore trecatese a queste critiche? Le ignorava bellamente, affermando che gli altri ricercatori si sbagliavano perché “nessuno poteva dichiarare con esattezza cosa ci fosse sotto il ghiaccio fino a quando qualcuno non si fosse calato dentro i crepacci”. Ma se è così, allora neanche Palego poteva averne la certezza, visto che nemmeno lui si era mai calato all’interno. La sua insistenza si basava su un esame fotografico condotto dal dipartimento di Informatica dell’Università di Torino che “confermava” quanto dichiarato da Palego stesso. La realtà dei fatti è che nel 1997 il prof. Nello Balossino, che condusse quell’esame, dichiarò testualmente:

“Il fatto che le immagini di cui dispongo si riferiscano ad un’unica banda spettrale, limita notevolmente l’indagine dal punto di vista dell’analisi mediante computer […]  occorre quindi entrare in possesso di ulteriori immagini al fine di poter approfondire l’indagine eidomatica. A integrazione dell’analisi di immagini telerilevate, sarebbe ovviamente opportuno dar vita a ulteriori esplorazioni in loco.”[7]

Con maggior chiarezza, sempre il prof. Balossino dichiarò nel 2011 quanto segue:

“Dall’analisi di queste immagini si traggono solo indicazioni deboli per la conduzione di ricerche sulla natura dell’oggetto sotto il ghiacciaio. Sono indizi e non prove come Palego stesso sostiene.”[8]

Nel 2010 Angelo Palego riuscì a recuperare un pezzo di legno di circa 50 cm trovato sul ghiacciaio del Parrot, in tutt’altra zona rispetto a quella da lui sempre indicata. Questo legno fu sottoposto a radiodatazione ma degli esiti ottenuti Palego non fece mai cenno. Perché? Perché si muovevano in senso contrario a quanto da lui sostenuto: un atteggiamento che di “scientifico” ha proprio nulla. Qui di seguito trovate il documento che data tale legno al 1950 della nostra era (vedi pagina 3). Si tratta, in sostanza, di legno recente portato sulla montagna probabilmente da qualche altro scalatore.

CEDAD_2010

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Fernand Navarra e Claudio Schranz.

Se dovessimo indicare due uomini che hanno realmente contribuito in tutta onestà e umiltà alla ricerca archeologica, questi sono indubbiamente Navarra (a metà del secolo scorso) e Schranz[9] nel 2003. Ambedue sono riusciti a localizzare delle travi di legno, incastrate nel ghiaccio del Parrot ad oltre 4.000 metri, e a documentarne la presenza in maniera incontrovertibile. Anche se, ovviamente, nessuno dei due ha potuto collegare tali legni in maniera certa alla “leggendaria” Arca. Difatti nessuno ha ancora offerta una qualche ragione che possa spiegare il perché, ad esempio, quelle travi non possano provenire da una qualsiasi altra struttura lassù costruita, magari sempre per motivi religiosi.

Fernand Navarra e il figlio Rafael, nel 1955

Claudio Schranz, nel 2003

La conclusione.

Certamente possiamo addebitare al ricercatore Angelo Palego il merito di aver tenuto viva l’attenzione di tutti, e oserei dire anche la speranza di molti, sulla ricerca archeologica e sulla possibilità di trovare un reperto come l’Arca che sarebbe potenzialmente in grado di riscrivere la storia del genere umano. Era un uomo carismatico, dotato di un’oratoria eccelsa, in grado di coinvolgere e avvolgere con le sue narrazioni avvincenti, come solo gli antichi cantastorie sapevano fare.

Il 24 settembre del 2015 cessò la sua appartenenza alla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, non condividendo più molte delle loro dottrine caratterizzanti. Negli ultimi anni della sua vita, in preda a quella che potremmo definire Sindrome di Gerusalemme del 1° tipo, andava predicando di essere la reincarnazione del profeta Elia; affermava che lui, Angelo Palego, il “messaggero dell’antichità”, entro pochi anni sarebbe morto a Gerusalemme e che il terzo giorno sarebbe risorto; annunciava a chiunque incontrasse che la Città Santa sarebbe stata distrutta da un bombardamento atomico dando inizio all’Apocalisse finale. Il tutto “condito” da improponibili letture di versetti biblici[10]. Dal 15 agosto Angelo Palego ci ha lasciato. Lo salutiamo come lui era solito salutare in chiusura delle sue missive, con un versetto biblico:

Abbiamo in Dio la speranza che ci sarà una risurrezione, sia dei giusti che degli ingiusti (libro degli Atti cap. 24 verso 15)

Francesco Arduini

Nota dell’autore.

Avendo vissuto a Trecate fino al 5° anno della mia frequenza alle scuole superiori, ebbi modo di conoscere personalmente Angelo Palego. Fu lui, nel 1989, ad insegnarmi l’amore per lo studio delle Sacre Scritture e nel 2011 mi incaricò di scrivere un resoconto di tutte le sue spedizioni. Alcune delle informazioni esposte in questo articolo mi sono state raccontate personalmente. Provai a farlo ragionare molte volte, su diversi aspetti delle sue ricerche, ma chi lo ha conosciuto sa bene quanto fosse un “testone” e che difficilmente avrebbe cambiato idea. Chi lo ha conosciuto davvero sa anche che, in ultima analisi e lasciando perdere le sue farneticazioni sul profeta Elia, Angelo era realmente un uomo buono.


Commenti ricevuti in ricordo di Angelo Palego

Conobbi Angelo una ventina di anni or sono. Eravamo al dipartimento di Informatica di Torino. Io e il mio aiuto Simona lo osservavamo con curiosità. Sì perché esponeva le sue idee con sicurezza e formulazione scientifica ma anche con un trasporto emotivo come se stesse osservando dal vivo la scena che stava descrivendo. Ci coinvolse in elaborazioni di immagini con la speranza di poter carpire i segreti di quella strana macchia che rompeva la monotonia del bianco del ghiacciaio. Nutriva la speranza, che manifestava non solo a noi ma anche al suo amico Francesco, di poter arrivare a una scoperta sensazionale. Sapeva che non sarebbe stata una cosa semplice. E per questo organizzò negli anni numerose spedizioni. L’ultima avrebbe dovuto essere molto importante perché basata sull’impiego di tecnologia sofisticata.

Forse ora conosce il segreto per il quale ha trascorso la sua vita da ricercatore.

Prof. Nello Balossino, Dip. Informatica, Università di Torino.


Non avrei saputo immaginare per lui una morte più bella e più degna : Angelo Palego ha lasciato questa vita là dove tutto era cominciato, ai piedi dell’Ararat, ai piedi del suo sogno.

Ho conosciuto Angelo personalmente, ho anche letto i suoi libri e non ne ho condiviso certi suoi convincimenti, ma ho ammirato senza riserve la sua straordinaria tenacia e la sua irriducibile, inossidabile fiducia nelle verità della Bibbia.
Davanti ad un uomo che all’età di 86 anni raccoglie le poche forze rimaste e va ad inseguire ancora una volta il suo sogno, sento il dovere morale di inchinarmi con profondo rispetto e abbandonare le distinzioni e le dispute tra realtà e illusione.
Mi piace pensare che il suo ultimo sguardo fosse rivolto verso quella montagna, verso quel papà buono che nasconde dietro la schiena un dono per te.

Prof. Ferdinando Catalano, cattedra di Fisica, Ist. Aeronautico di Bergamo


The Presidium of the Armenian Academy of Technology (ATA) expresses its condolences on the death of the outstanding ATA Member – Angelo Palego, who made an invaluable contribution to the search and research of the Noah’s Ark described in the Bible.

President of ATA, Vanush Davtyan, www.armic.am, www.armeniatur.am


Mi dispiace veramente tanto per la scomparsa di Angelo, compagno e sponsor di tutte le mie spedizioni alla ricerca dell’arca. Si è sempre dimostrato una persona di fede e di grandissima lealtà, anche quando dovevamo confrontarci con problemi più grossi di noi. Sicuramente nell’ “altro mondo” ci darà una mano nelle ricerche future, e sarà sempre al nostro fianco.

Claudio Schranz, Cavaliere della Repubblica per meriti sportivi.


Le poche volte che con Angelo ci siamo incontrati e abbiamo dibattuto su argomenti geologici, era come se per lui due secoli di scienza non fossero mai esistiti. Mi sono accorto poi che non era fanatismo, ma era amore per le Scritture, un amore così incondizionato e totale da essere folle, folle come solo l’amore sa essere. Non avrà trovato l’Arca ma ha trascorso la sua vita amando la Bibbia e un’idea, difendendole da tutto e da tutti. Devo dire che non è poco.

dott. Marco Chiesa, geologo.


Ho conosciuto Angelo all’inizio degli anni ’90 e da subito è nata una collaborazione intensa che è durata più di un decennio. Anni pieni di soddisfazioni. Di lui ho il vivo ricordo di un uomo instancabile, determinato e con un carisma incredibile, con uno spessore di fede che pochi hanno. Le vicissitudini sono state tante ma preferisco ricordarmelo per quel che era: “un carissimo amico”.

Francesco Annunziata, presidente associazione archeologica Narkas.


Angelo Palego ha dato speranza, passione e determinazione alla ricerca usando oratoria e impeto unico nell’avvincente ricerca dell’arca! Ci ha fatto sognare, a volte sorridere… ma ha spinto me e tanti altri a ragionare su una reale localizzazione del biblico vascello; un “folle visionario” ma anche una persona corretta, determinata e innamorata della ricerca. Riposa in pace.

dott. Francesco Sepione, medico e ricercatore.

NOTE:

  • [1] “anziano” secondo la terminologia interna dei Testimoni di Geova.
  • [2] Palego, A., Ho camminato sopra l’arca di Noè, Ed. Nuovi Autori, Milano, 1990.
  • [3] Palego, A., Come ho trovato l’Arca di Noè, Ed. Mediterranee, Roma, 1999
  • [4] conversazione privata via chat di Whatsapp – messaggio delle ore 8.02 del 19 agosto 2021.
  • [5] Arduini, F., Sulle Tracce di Noè, edizioni Terre Sommerse, 2011, pag. 67.
  • [6] Ibidem, pag. 38.
  • [7] Ibidem, pag. 36-37.
  • [8] Ibidem, pag. 12.
  • [9] www.claudioschranz.it
  • [10] conversazione privata via chat di Whatsapp.