
Proslogion
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di Anselmo d’Aosta
Il periodo altomedievale fu caratterizzato da un rinnovato interesse per la filosofia e la teologia, con la nascita di importanti centri di studio (come p.e. l’Università di Parigi); in un simile contesto storico, Anselmo d’Aosta (1033-1109 ca) emerse come uno dei principali esponenti ante litteram della scolastica, un movimento intellettuale che si caratterizzava per la sua attenzione alla giustificazione razionale della fede religiosa e alla presentazione sistematica della fede nella sua totalità.
L’opera di Anselmo d’Aosta intitolata “Proslogion”, scritta nel XI secolo, costituisce un punto di svolta significativo nella riflessione teologica e filosofica. Questo trattato presenta una dimostrazione dell’esistenza di Dio che si basa sulla ragione e sulla fede, offrendo una prospettiva unica, che ancora oggi stimola una certa… curiosità.
La tesi di Anselmo
Lo stolto ha detto nel suo cuore: “Non c’è Dio”. (Salmo 14:1)
Anselmo sa che lo “stolto” di cui parla il salmista non è uno sciocco o un ignorante, ma è colui che, “poiché non comprende come ciò che necessariamente esiste [cioè Dio] possa esistere, sostiene che esso non esiste”. Per lo “stolto” la spiegazione di ogni cosa sta sempre nell’ambito di ciò che può essere sperimentato. La causa della sua “stoltezza” è la sua “ragione” come misura; per lui esiste solo ciò che può essere constatato con i sensi.
La sua argomentazione inizia con l’espressione che identifica Dio:
noi crediamo che tu sia qualcosa di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore
Dio è la massima espressione di ogni bene, è la massima espressione dell’amore, è la massima espressione di ogni cosa, e questo è l’assioma sul quale Anselmo costruisce tutto il suo ragionamento. Egli argomenta in base al principio che dall’esistere si può inferire la possibilità dell’esistenza, ma non viceversa. Se “ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore” esistesse solo nell’intelletto, si potrebbe pensare una cosa maggiore, ossia “ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore esistente nell’intelletto e nella realtà” e si cadrebbe in contraddizione. Anselmo afferma conseguentemente che “ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore” esiste anche nella realtà. Non afferma che esiste anche nella realtà poiché esiste nell’intelletto, ma per la constatazione che, se esistesse solo nell’intelletto, non sarebbe “ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore”. Esiste per necessità logica per via della definizione e identificazione di partenza.
La critica di Gaunilone
Le critiche al ragionamento di Anselmo non si fecero attendere. Gaunilone (994 circa – 1083 circa), filosofo e monaco benedettino, obiettò che ciò che esiste nell’intelletto non esiste necessariamente anche nella realtà. Infatti, se intendendo l’idea di Dio, si intende contemporaneamente che Dio esiste, non ha senso cercare di dimostrare l’esistenza di Dio, essendone già immediatamente certi. Se si negasse la distinzione tra l’essere nell’intelletto e l’essere nella realtà, allora si dovrebbe ammettere l’esistenza di tutte le cose dubbie e false, per il semplice fatto che anch’esse esistono nell’intelletto.
È così che Gaunilone argomenta:
Se si dice che questo ente è nel mio intelletto soltanto perché intendo ciò che è detto, non potrei forse dire di avere similmente nell’intelletto anche tutte le cose false e assolutamente in se stesse inesistenti, solo perché intenderei tutto ciò che direbbe qualcuno parlando di esse?
Anselmo controreplica nel seguente modo:
Nessuno che neghi o dubiti che esista qualcosa di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore, nega o dubita che, se esistesse, non potrebbe non essere sia nella realtà che nell’intelletto … Ma tutto ciò che può essere pensato e non esiste, potrebbe non essere sia nella realtà che nell’intelletto, se esistesse. Dunque, se può anche solo essere pensato, ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore non può non esistere … Tutto ciò che può essere pensato e non esiste, se esistesse, non sarebbe ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore. Se dunque fosse ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore, non sarebbe ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore. E’ dunque falso che non esista qualcosa di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore, se può anche solo essere pensato.
Conclusione
Anselmo riconosce che il suo argomento vale solo per chi già crede in Dio e tutta la dimostrazione deve essere giudicata per la sua coerenza logica. Anselmo presuppone la fede. Egli riconosce che non è nelle possibilità umane quella di convertire gli “stolti”; il credente può solo mostrare a essi che cosa crede ed effettivamente conosce intorno alla natura divina.
Anselmo non pensa che mediante l’intelletto si possa giungere alla fede, ma piuttosto pensa che mediante la fede si possa giungere a una qualche conoscenza razionale. Egli scrive:
neque enim quaero intelligere ut credam, sed credo ut intelligam
(non cerco infatti di intendere per poter credere, ma credo per poter intendere).
Lo “stolto” deve convincersi che i credenti non credono esistente solo una “idea”, ma credono che realmente esista Colui a cui attribuiscono questa idea; ciò significa che i credenti sono, prima, certi per fede e, in un momento immediatamente successivo, sono certi anche intellettualmente che colui che è “ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore”, esiste realmente e indipendentemente dal fatto di essere pensato. “Dunque qualcosa di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore, esiste in modo così vero che non si può pensare non esistente”. Prima si crede nell’esistenza di Dio per grazia divina e poi si intende con la propria mente che Dio esiste. Dopo aver compreso che Dio non può non esistere, Anselmo riconosce che non gli è più possibile non comprenderlo più: si può perdere la fede, ma non l’intelletto. Da ciò si deduce che per Anselmo, un ateo può diventare credente, ma che un credente che si è sforzato di comprendere la sua fede, non potrà mai più tornare a essere ateo.
A questo punto, forse, iniziamo vagamente a comprendere la definizione che gli umanisti avrebbero dato alla scolastica:
un’arida speculazione intellettuale di uomini che dibattono seriamente su quanti angeli possono danzare sulla punta di uno spillo
Eppure, le argomentazioni di Anselmo, tanto teologiche quanto tautologiche, racchiudono una verità profonda e universale con la quale ogni credente, sia del passato che del presente, si confronta e si specchia. Non è l’intelletto umano, con le sue limitazioni intrinseche, a poter afferrare l’essenza divina; piuttosto, è la fede in Dio che funge da ponte, permettendo all’intelletto di elevarsi verso vette sublimi e di abbracciare realtà che trascendono la mera logica. In questo modo, la fede non solo illumina il cammino della ragione, ma la guida verso una comprensione più profonda e significativa dell’esistenza e del divino. Essa si rivela come un atto di fiducia che, oltrepassando i confini della ragione, apre a una dimensione di conoscenza e di esperienza spirituale che arricchisce l’anima e la connette con l’infinito.
The Infant Baptism
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