“La guarigione dell’emorroissa”: brevi (e forse inedite) riflessioni
Uno fra i diversi racconti evangelici sul messianico potere taumaturgico di guarire gli ammalati, è quello che vede protagonisti Gesù e una donna afflitta da una perdita di sangue. Il racconto è noto come “la guarigione dell’emorroissa” ed è riportato in tutti e tre i vangeli sinottici.
Una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva speso tutti i suoi beni con i medici, senza poter essere guarita da nessuno, si avvicinò di dietro e gli toccò il lembo della veste; e in quell’istante il suo flusso di sangue cessò. E Gesù disse: «chi mi ha toccato?” E siccome tutti negavano, Pietro e quelli che erano con lui dissero «Maestro, la folla ti stringe e ti preme e tu dici: Chi mi ha toccato? » Ma Gesù replicò: «Qualcuno mi ha toccato, perché ho sentito che una potenza è uscita da me». La donna, vedendo che non era rimasta inosservata, venne tutta tremante e, gettatasi ai suoi piedi, gli dichiarò, in presenza di tutto il popolo, per quale motivo lo aveva toccato e come era stata guarita in un istante. Ma egli le disse: «Figliola, la tua fede ti ha salvata; va’ in pace». (Lc 8:43-48)[1]
Mt 9: 20-22 | Mc 5: 25-34 |
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Ed ecco una donna, malata di un flusso di sangue da dodici anni, avvicinatasi da dietro, gli toccò il lembo della veste, perché diceva fra sé: «se riesco a toccare almeno la sua veste, sarò guarita ». Gesù si voltò, la vide, e disse: «Coraggio, figliola; la tua fede ti ha guarita». Da quell’ora la donna fu guarita. | Una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni, molto aveva sofferto da molti medici, e aveva speso tutto ciò che possedeva senza nessun giovamento, anzi era piuttosto peggiorata, avendo udito parlare di Gesù, venne dietro tra la folla e gli toccò la veste, perché diceva: «Se riesco a toccare almeno le sue vesti, sarò salva». In quell’istante la sua emorragia ristagnò; ed ella sentì nel suo corpo di essere guarita da quella malattia. Subito Gesù, conscio della potenza che era emanata da lui, voltatosi indietro verso quella folla, disse: «Chi mi ha toccato le vesti?» I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi come la folla ti si stringe attorno e dici: “Chi mi ha toccato?”» Ed egli guardava attorno per vedere colei che aveva fatto questo. Ma la donna paurosa e tremante, ben sapendo quello che le era accaduto, venne, gli si gettò ai piedi e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figliola, la tua fede ti ha salvata; va’ in pace e sii guarita dal tuo male». |
Le considerazioni che seguono non si articolano volutamente nella prospettiva della storia delle forme e dei problemi testuali o redazionali (per le lezioni varianti, le possibili interpolazioni e l’intreccio a «sandwich» con la successiva pericope, si rimanda ai numerosi commentari di critica testuale); in questo breve articolo desidero riflettere sulla pericope così come c’è giunta, considerando i sinottici come complementari e valorizzandone la lettura sincronica.
Elementi narrativi
I tre evangelisti ci presentano la donna come una persona povera, affetta da un’emorragia cronica, per la quale aveva speso tutti i suoi averi in cure inutili che, anzi, si rivelarono dannose; è una donna che si “avvicina da dietro” per non farsi vedere, e che osa toccare solo il lembo della veste, nella speranza di passare inosservata. Ha paura, è “tutta tremante”, ma avendo sentito parlare di Gesù e di ciò che era in grado di fare, mostra una tale fede da essere convinta che solo toccandolo in maniera fugace sarebbe stata guarita.
Secondo alcune opinioni, la donna aveva probabilmente un tumore[2] o un fibroma uterino[3] e l’emorragia consisteva in spotting e metrorragia. I dolori fisici erano notevoli, lo si comprende dall’affermazione secondo cui “sentì nel suo corpo” di essere guarita dopo aver toccato Gesù. Oltre a questi, sono da considerare i dolori emotivi e psichici.
Si ricorda che, secondo la legge mosaica, una donna con perdita di sangue non poteva avere alcuna vita sociale; doveva evitare il contatto con chiunque, persino con i familiari.
Nel terzo libro della Torah si legge che “quando una donna avrà perdite di sangue per le mestruazioni, la sua impurità durerà sette giorni; e chiunque la toccherà sarà impuro fino a sera” (Le 15:19). E ancora:
La donna che avrà un flusso di sangue per parecchi giorni, fuori del tempo delle sue mestruazioni, o che avrà questo flusso oltre il tempo delle sue mestruazioni, sarà impura per tutto il tempo del flusso, come durante le sue mestruazioni. Ogni letto sul quale si coricherà durante tutto il tempo del suo flusso sarà per lei come il letto sul quale si corica quando ha le sue mestruazioni; ogni mobile sul quale si sederà sarà impuro, come l’impurità delle sue mestruazioni. Chiunque toccherà quelle cose sarà immondo; si laverà le vesti, laverà se stesso nell’acqua e sarà impuro fino a sera. (Le 15: 25-27)
Non mi interessa, in questa occasione, indagare la ratio di una simile legge; quello che invece ritengo interessante è comprendere l’estrema situazione psicofisica in cui si trovava questa donna: con acuti dolori al ventre e probabile deformazione dell’addome, dolore lombare, articolare, con sintomi urinari e digerenti dovuti alla compressione degli organi adiacenti all’utero[4], impossibilitata ad avvicinarsi al Tempio per fare offerte a Dio, esclusa da ogni funzione liturgica, dalla sinagoga, emarginata da tutti, anche dalla famiglia.
Una donna ancora viva, ma già morta.
La guarigione, non solo fisica
Ogni commentario che abbia letto su questo episodio si sofferma a descrivere gli accadimenti e la guarigione fisica operata da Gesù, ma non ho trovato alcun riferimento all’altrettanto importante guarigione psichica che (a mio parere) egualmente si evince dalla narrazione.
Nello specifico, sottolineo come Gesù insista per conoscere chi lo avesse toccato e per fare in modo che venga allo scoperto. Per l’odierno uomo di fede, è difficile credere che Gesù non lo sapesse già e pare abbastanza insolita questa sua insistenza, che resta una e unica nelle molte narrazioni evangeliche. L’ipotesi qui avanzata è che, dopo averla guarita fisicamente, Gesù cerchi intenzionalmente la donna per completare il processo di guarigione attraverso quella che in psicoterapia è oggi conosciuta come “validazione”[5]. La validazione è un aspetto molto importante del processo psicoterapeutico; di contro, è noto come la mancanza di validazione sia “un fattore coinvolto nell’eziopatogenesi di molti disturbi psichici”[6].
Quali sono gli step essenziali di questo processo? In estrema sintesi: a un primario e costante contatto visivo tra il terapeuta e il paziente (Gesù si “guardava attorno per vedere colei…”), segue la chiamata a esternalizzare i propri motivi e le proprie emozioni (“chi mi ha toccato le vesti?” / “chi mi ha toccato?”), poi una fase di risposta dove le emozioni del paziente non vengono giudicate in alcuna maniera dallo “psicoterapeuta” (Gesù non sottolinea mai la violazione della legge compiuta da questa donna) che sono invece accolte con comprensione ed empatia (“Figliola, la tua fede ti ha salvata”), e una fase di valorizzazione dove il terapeuta incoraggia il paziente (“va’ in pace”); il termine “pace”, in aramaico, ha un significato molto profondo che richiama un benessere olistico: prosperità del corpo, dello spirito e armonia in ogni fase della vita. Ultimo ma non di minore importanza, sempre nella fase di incoraggiamento, questa è l’unica ricorrenza in tutti i vangeli in cui Gesù identifica una donna come [sua] “figliola”.
Conclusione
Gesù, quale eccelso terapeuta, sa molto bene come le emozioni trovano una naturale spontanea via di guarigione solo nel momento in cui possono essere espresse e vengono accolte positivamente dall’interlocutore, senza giudizio o limitazione.
Se, per ipotesi, la donna se ne fosse andata via senza confessare il suo gesto e senza incontrarsi apertamente con Gesù, che cosa sarebbe successo? Avrebbe ottenuto la guarigione fisica ma verosimilmente si sarebbe portata dietro la convinzione di aver “rubato” con l’inganno quella guarigione, infrangendo la legge mosaica, fuggendo da colui che aveva riconosciuto come il Cristo, e provando sensi di colpa per il resto della sua vita. Gesù chiama la donna alla “confessione”, vuole che parli delle sue emozioni, che le esponga davanti a tutti quelli che fino a qualche istante prima la rigettavano ed emarginavano. Davanti a quelle stesse folle, Gesù non la giudica ma la accoglie come “figlia” agevolando il pieno reintegro nella società e prospettandole un futuro di serenità d’animo.
L’insistenza di Gesù nel far emergere la donna dall’ombra non è solo un atto di guarigione fisica, ma un esempio di come la riconciliazione con se stessi e con la comunità sia essenziale per il benessere totale. Questo richiamo a ciò che oggi definiamo “validazione psicologica” evidenzia un aspetto della fede che non è in conflitto con le scienze moderne, ma piuttosto le anticipa nella sua comprensione della natura umana.
Francesco Arduini
[1] La Sacra Bibbia, con note e commenti di John Mac Arthur, Nuova riveduta 2006, Società Biblica di Ginevra, 20212.
[2] J. Mac Arthur, op. cit. nota a Mr 5:25, pag. 1448.
[3] F. D’Onofrio, Il vangelo letto da un medico, edizione Idelson-Gnocchi, Napoli, 2002, pag. 44.
[4] Ibidem.
[5] Non posso certamente dire che Gesù fosse a conoscenza del “processo di validazione” come formulato dalla moderne scienze psicologiche (sarebbe un grossolano errore anacronistico) ma è innegabile che la sequenza di azioni curative attuate di Gesù, lette alla luce delle attuali conoscenze mediche, ricade in tale approccio psicoterapeutico.
[6] https://www.stateofmind.it/2024/02/validazione-psicoterapia
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