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Bioetica

Dalla Bioetica classica alla Bioetica cibernetica

14 Maggio 2025 0 commenti Articolo Libri
Editrice Bibliografica, 2022

In questo articolo si offre una panoramica dei principali ambiti della bioetica contemporanea, alla luce dell’impostazione teorica delineata da Luisella Battaglia (Editrice bibliografica, 2022). Si propone, in ultimo, l’istituzione di una nuova sotto-disciplina della bioetica, denominata “Bioetica cibernetica”, volta a integrare le implicazioni morali, teologiche e sociali derivanti dall’integrazione uomo-macchina.

La bioetica rappresenta una delle più profonde riconfigurazioni dell’etica contemporanea, estendendo l’obbligo morale dell’uomo ben oltre la ristretta cerchia dei suoi simili, per abbracciare ogni forma di vita, senza richiedere reciprocità; si orienta non solo verso la vita umana, ma verso l’intero “bios”, includendo l’ambiente e le altre specie viventi. È, in questo senso, un’etica “planetaria” che impone una riflessione scientifica transdisciplinare. Essa nasce come reazione critica all’“imperativo tecnologico”, ossia alla pretesa che tutto ciò che è tecnicamente possibile debba anche essere eticamente lecito. È una crisi che emerge soprattutto nel dibattito sulle biotecnologie, le quali pongono questioni etiche radicali e inedite. Dall’ingegneria genetica alla clonazione, dalla fecondazione artificiale alle tecnologie di fine vita, la bioetica è chiamata a discernere tra ciò che può essere fatto e ciò che deve essere fatto. Nella sua declinazione complessa, si articola in tre grandi ambiti: bioetica medica, ambientale e animale. La prima affronta le delicate questioni legate alla nascita, alla cura e alla morte dell’uomo; la seconda indaga la giustizia ambientale, i nuovi diritti ecologici e la responsabilità intergenerazionale; la terza si occupa dei diritti degli animali e dei diversi modi in cui essi vengono inseriti nella rete delle relazioni umane​.

A livello teorico, la bioetica implica anche un allargamento della morale in tre direzioni fondamentali: nello spazio, superando i confini geografici e culturali; nel tempo, includendo le generazioni future; e oltre la specie, riconoscendo dignità morale anche agli esseri non umani. L’obiettivo è superare un’antropocentricità ormai insostenibile per fondare un’etica della coabitazione planetaria.

Questa visione, che Battaglia definisce “umanesimo planetario”, si fonda su una rinnovata coscienza della vulnerabilità condivisa e della rete di interdipendenze che lega ogni essere vivente agli altri; implica un profondo ripensamento della nozione di responsabilità, che deve essere riletta in chiave anticipatoria.

Lungi dal proporsi come mera disciplina normativa, la bioetica è un ambito di riflessione filosofica e pratica che si costruisce in dialogo con la medicina, l’ecologia, l’etologia, la teologia e il diritto. Il suo obiettivo non è solo limitare i rischi della tecnoscienza, ma costruire una cultura del rispetto e della giustizia in un mondo segnato da profonde interconnessioni biologiche, sociali e morali.

Questioni di Bioetica Medica: tra sapere tecnico e patto di cura

La riflessione bioetica medica si fonda su una verità essenziale: prima ancora di essere un sapere specialistico, la medicina è un incontro umano, un rapporto tra due soggetti, colui che cura e colui che è curato. Questo rapporto si configura come un dialogo, una reciprocità che si apre nella narrazione della sofferenza e nell’ascolto attivo del medico.

Luisella Battaglia evidenzia come tale relazione si sia articolata storicamente attraverso tre modelli distinti. Il primo, definibile “premoderno”, affonda le sue radici nel giuramento di Ippocrate e si fonda sulla domanda: “quale trattamento porta maggior beneficio al paziente?”. È un modello paternalistico, dove il medico è colui che sa, e il paziente colui che si affida. Il secondo modello, che emerge in età moderna, soprattutto grazie alla bioetica, mette in discussione questo paternalismo in nome dell’autonomia del paziente: “qual è la scelta che rispetta i suoi valori e la sua libertà?”. Il terzo modello, infine, riflette l’attuale contesto postmoderno e aziendalizzato della sanità: qui il malato diventa cliente e la domanda guida è: “quale trattamento ottimizzerà risorse e soddisfazione?”​.

In questo scenario complesso, la bioetica propone una sintesi armonizzata: la “buona medicina” dovrebbe essere al contempo efficace, giusta e appropriata, capace di rispondere ai bisogni reali del malato e alla sostenibilità del sistema. Questo richiede una piena integrazione tra i principi dell’etica medica, della bioetica e dell’etica dell’organizzazione sanitaria.

Il patto di cura e l’etica della relazione

Paul Ricoeur (Morcelliana, 2006) ha evidenziato come il cuore etico della medicina sia costituito da un “patto di cura”, inteso come alleanza tra medico e paziente. Tre sono i precetti fondanti di tale patto:

  • Il riconoscimento della singolarità del paziente: ogni malattia è biografia, non solo diagnosi.
  • L’indivisibilità della persona: corpo, mente e relazioni non sono compartimenti stagni.
  • La stima di sé del malato: la dignità non può essere violata, neppure sotto la pressione della malattia​.

Il principio di autonomia, cardine della bioetica, va compreso non solo come “non interferenza”, ma come dovere del medico di informare con chiarezza e di ascoltare con empatia. È necessario comprendere che l’autodeterminazione si esprime anche nella possibilità di rifiutare trattamenti. Questo diritto trova solide basi normative:

  • Art. 32 Costituzione italiana: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
  • Art. 35 Codice di deontologia medica: “Ogni intervento diagnostico o terapeutico è subordinato al consenso libero e informato della persona”.
  • Art. 5 Convenzione di Oviedo (1997): “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato un consenso libero e informato”.​

Tecnologie riproduttive, diritto al figlio e responsabilità genitoriale

Nel contesto della rivoluzione biologica, la procreazione non è più legata al destino. Le nuove tecnologie riproduttive hanno sottratto la genitorialità alla mera biologia, introducendo figure e contratti inediti: madre surrogata, donatori di gameti, genitori committenti. A ciò si associa un interrogativo cruciale: esiste un diritto al figlio? E ancora: è lecito impiegare qualunque mezzo per soddisfare un desiderio, seppur profondo?

Luisella Battaglia pone in rilievo la tensione tra biologia e cultura, e tra contratto e responsabilità. L’adozione, per esempio, ripara un’assenza, mentre la surrogazione crea intenzionalmente una separazione. Le distorsioni etiche e sociali sono evidenti nei casi di surrogazione commerciale in paesi poveri, dove donne analfabete sono ridotte a “fattrici” e i bambini diventano oggetti di scambio.

Tuttavia, la responsabilità non è funzione del metodo procreativo, ma della consapevolezza che guida la scelta. Come osserva Battaglia, “si può procreare naturalmente in modo irresponsabile e artificialmente in modo responsabile”​.

Il morire e la dignità della fine: DAT, testamento biologico e limiti dell’intervento medico

Accanto alle questioni dell’inizio vita, la bioetica si confronta con le problematiche del morire. La tecnologia medica ha reso possibile prolungare indefinitamente la vita biologica, ma a volte a discapito della dignità umana. Da qui nasce l’esigenza del testamento biologico, disciplinato dalla Legge 219/2017, che riconosce il diritto di ogni persona di esprimere anticipatamente le proprie volontà circa trattamenti futuri. La legge stabilisce:

  • il diritto a rifiutare o interrompere le cure,
  • il principio dell’alleanza terapeutica,
  • l’obbligo per il medico di rispettare le volontà espresse nelle dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT).

Fermo restando che in Italia l’eutanasia attiva non è legale, due articoli del Codice Penale sono determinanti:

  • Art. 579: Omicidio del consenziente – punisce con la reclusione chi uccide una persona con il suo consenso, salvo che il fatto rientri tra le ipotesi previste dalla legge.
  • Art. 580: Istigazione o aiuto al suicidio – punisce chi istiga o aiuta qualcun altro a togliersi la vita.

Tuttavia, con la sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, è stata riconosciuta la non punibilità del suicidio assistito, a patto che:

  • la persona sia capace di intendere e volere,
  • sia affetta da una patologia irreversibile e fonte di sofferenze insopportabili,
  • sia mantenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale,
  • abbia espresso una volontà libera e consapevole,
  • siano rispettate le garanzie previste (comitato etico, cure palliative, consenso informato).

Non si tratta, come osserva Battaglia, di una liberalizzazione indiscriminata, ma di una libertà “molto vigilata”, tesa a evitare derive eutanasiche.

Verso un’etica della cura

Infine, si assiste oggi a una rivalutazione dell’etica della cura come paradigma complementare a quello dei diritti. Prendersi cura significa accompagnare, ascoltare, alleviare, non solo guarire. È una prospettiva che valorizza l’empatia, la responsabilità condivisa e la qualità della relazione terapeutica.

La formazione permanente degli operatori sanitari assume qui un valore cruciale. Non bastano regole e protocolli: servono virtù, capacità di discernimento e una pedagogia della prossimità.

Questioni di Bioetica Ambientale: oltre l’antropocentrismo verso un umanesimo ecologico

Negli ultimi decenni si è verificata una profonda trasformazione nella coscienza etica e culturale dell’umanità, una vera e propria “conversione ecologica” che ha affiancato al sapere scientifico un’esigenza crescente di riflessione etica. I dati provenienti dall’ecologia, dalle scienze ambientali e dalla climatologia, con il loro impatto fattuale e statistico, hanno progressivamente sollecitato anche l’attenzione dei filosofi e dei teologi, rivelando quanto sia urgente ripensare il rapporto tra uomo e natura alla luce della giustizia e della responsabilità.

Luisella Battaglia individua nella bioetica ambientale uno dei campi più fecondi della nuova moralità, poiché essa non si limita a denunciare gli effetti della crisi ambientale, ma mira a elaborare criteri normativi per un’etica della sostenibilità, della partecipazione e del rispetto. L’ecologia, quale scienza sistemica per eccellenza, impone una visione integrata e relazionale, in cui le componenti biologiche, fisiche, sociali e culturali si influenzano reciprocamente. In tale cornice, non è più sostenibile l’idea di uno scienziato neutrale e distaccato: lo scienziato si trova oggi, come osserva Battaglia, “al centro della scena”, corresponsabile degli esiti del proprio agire​.

Superare l’antropocentrismo

Uno dei cambiamenti più radicali introdotti dalla bioetica ambientale è la messa in discussione dell’antropocentrismo forte, ossia dell’ideologia secondo cui tutto ciò che esiste sarebbe finalizzato esclusivamente all’utilità dell’uomo. Contro questa visione “predatoria” si afferma l’idea che gli enti naturali possano avere un valore intrinseco e non soltanto strumentale, e che l’uomo, nella sua maturità morale, debba imparare a riconoscere, proteggere e condividere la vita con le altre specie.

In questa direzione, l’etica ambientale propone un’estensione della sfera morale che includa la natura come soggetto etico. Un prezioso riferimento teologico si trova in Genesi 2:15, dove si legge: “Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse”. Questo versetto mostra come la relazione dell’uomo con la natura, fin dall’origine, sia caratterizzata non dal dominio ma dalla cura responsabile. Il verbo “custodire” (שָׁמַר shamar) implica protezione e rispetto, e il verbo “coltivare” (עָבַד avad) implica servizio. L’uomo, dunque, non è padrone ma amministratore del creato, chiamato a esercitare un’autorità che è custodia, tutela, protezione, non sfruttamento.

Giustizia ambientale e diritto intergenerazionale

L’affermarsi di nuovi crimini contro la natura, come il cosiddetto ecocidio, ovvero la devastazione sistematica dell’ambiente, segnala il passaggio da un’etica della prudenza a un’etica della giustizia. La giustizia ambientale riconosce l’esistenza di una correlazione stretta tra diseguaglianze sociali e rischi ecologici, denunciando come siano spesso i gruppi più vulnerabili a pagare il prezzo più alto in termini di inquinamento, degrado ambientale, cambiamenti climatici.

Distruggere la Terra significa anche tradire un patto intergenerazionale. Quali diritti stiamo negando ai nostri discendenti? La domanda etica diventa: che mondo lasciamo a chi verrà dopo di noi? La risposta impone l’urgenza di una nuova cultura della responsabilità, fondata sul diritto delle future generazioni a un ambiente vivibile e su un’etica della solidarietà temporale.

La bioetica, in quanto “etica della vita”, non può esimersi dal prendere posizione su queste grandi sfide, che coinvolgono il nostro stesso modo di abitare il mondo. Il riconoscimento della comunanza di destini tra uomo e natura conduce a una visione del mondo che Battaglia definisce “umanesimo ecologico”. Non si tratta di rinunciare alla centralità dell’essere umano, ma di ripensarla in chiave relazionale, cosmica, decentrata. L’uomo non è più l’epicentro assoluto del creato, ma una delle sue molteplici espressioni, chiamata alla custodia e alla condivisione della vita.

Questioni di Bioetica Animale: verso un’etica della responsabilità interspecifica

La crescente conoscenza delle forme di vita animale e delle loro complesse capacità cognitive, affettive e sociali ha aperto nuove frontiere per la riflessione morale. Se in passato la considerazione etica si arrestava alle soglie dell’umano, oggi siamo chiamati a interrogarci sul senso e sulla portata dei nostri doveri verso gli esseri non umani. La “questione animale” emerge dunque come nodo imprescindibile di ogni pensiero etico responsabile.

Riconoscere diritti agli animali non significa negare le differenze tra le specie, né sostenere che la vita umana e quella animale abbiano lo stesso valore intrinseco. La bioetica insiste sul principio della pari considerazione degli interessi: a interessi eguali (come quello a non soffrire), va riconosciuto lo stesso peso morale, indipendentemente dalla specie di appartenenza.

In questo senso, la bioetica può offrire un contributo decisivo nel promuovere una riflessione critica, argomentata e interdisciplinare. Come afferma Battaglia, “il diverso va difeso non rendendolo simile a noi, ma assumendolo nella sua diversità”​. È proprio nella diversità dell’animale, nella sua radicale alterità, che si fonda l’obbligo morale del prendersi cura.

A differenza della cura interumana, la cura verso l’animale è priva di reciprocità. Non ci si aspetta nulla in cambio: è un atto di responsabilità unilaterale. L’animale non è più solo oggetto della nostra volontà, ma soggetto di una vita, portatore di bisogni, emozioni, memorie, capacità. Questo vale per ogni categoria: animali familiari, da compagnia; animali selvatici, da proteggere nei loro habitat; animali da reddito, il cui benessere deve essere garantito anche nei sistemi produttivi.

Qui entra in gioco la cosiddetta etica della biocultura, che impone l’adozione di pratiche di allevamento fondate su conoscenze etologiche e scientifiche. È una questione non solo di compassione, ma di giustizia interspecifica: ciò che si chiede è un equilibrio tra le esigenze umane e le condizioni minime di benessere animale. Un passo importante in Italia in direzione di questa etica è stato compiuto con la Legge n. 413/1993, che riconosce il diritto dei cittadini a dichiarare obiezione di coscienza alla sperimentazione animale, quando questa è ritenuta incompatibile con i propri principi morali. La legge stabilisce che “i cittadini che si oppongono all’uso di animali per fini sperimentali o didattici possono rifiutarsi di partecipare a tali attività”. Questo riconoscimento tutela sia la libertà di coscienza (bene soggettivo) sia il benessere animale (bene oggettivo). Tuttavia, a distanza di trent’anni, la legge è ancora poco applicata, in particolare per quanto riguarda l’attivazione di metodologie alternative prescritte dalla medesima.

Ingegneria genetica animale e xenotrapianti

La riflessione bioetica si intensifica quando le tecnologie superano le soglie naturali, come nel caso dell’ingegneria genetica e degli xenotrapianti. Gli animali vengono modificati per generare organi compatibili con il corpo umano. Siamo di fronte a una interazione interspecifica radicale, che pone interrogativi etici inediti: fino a che punto è lecito alterare l’identità di un essere vivente per fini umani?

Lo xenotrapianto rappresenta una soglia critica: si rischia di aprire la via a nuove forme di sfruttamento animale, nonché a gravi rischi sanitari. Nonostante le rassicurazioni scientifiche, le riserve bioetiche restano fondate. Tutto ciò richiede un nuovo e ulteriore sguardo etico: comprendere gli animali non più come strumenti, ma come soggetti con un bene da realizzare. Questo implica una svolta tanto teorica quanto pratica, una ridefinizione del nostro ruolo nella biosfera. L’etica ambientale e animale si incontrano in una visione ecologica integrata, in cui l’umano non è al centro ma in relazione, parte di un sistema di interdipendenze. Questo riconoscimento esige una revisione profonda delle nostre pratiche quotidiane, delle nostre leggi, della nostra cultura.

Dalla Bioetica quotidiana alla Bioetica di frontiera: tra prudenza e trasformazione

Fino a questo punto, la bioetica che abbiamo esaminato (sostanzialmente affrontando i vari temi così come sequenzialmente esposti nel testo di Battaglia) si è rivelata strettamente connessa alla vita concreta, alle scelte quotidiane delle persone che affrontano dilemmi morali generati dai progressi della medicina, della biologia e della tecnologia; una bioetica quotidiana: un’etica vissuta, che si interroga sulle modalità del nascere, del curarsi, del morire, ponendo al centro la dignità della persona.

Ma accanto a questa si afferma oggi, con sempre maggiore urgenza, una bioetica di frontiera: un ambito di riflessione che affronta scenari estremi e spesso ancora in via di realizzazione, connessi alle tecnologie emergenti e alle possibilità radicali di trasformazione della vita umana e non umana. È il campo dell’ingegneria genetica, della medicina predittiva, dell’intelligenza artificiale applicata al corpo, dei potenziamenti cognitivi e somatici. Come nota Luisella Battaglia, è in gioco la natura stessa dell’umano: non più data una volta per tutte, ma divenuta oggetto di scelta, di progettazione, persino di riscrittura. A questa nuova condizione si accompagna una domanda cruciale: fino a che punto è lecito manipolare la vita? E ancora: chi decide quale futuro vogliamo? La bioetica di frontiera ci obbliga a interpretare la complessità del presente, con uno sguardo al futuro.

La Bioetica Cibernetica: proposta per un’espansione del quadro etico

La crescente interazione tra uomo e macchina sta trasformando radicalmente il panorama scientifico, medico e filosofico. Negli ultimi due decenni, una moltiplicazione di sotto-discipline etiche è emersa in risposta ai progressi tecnologici. La cyber-neuroetica (Calum MacKellar, 2022) per esempio, che si occupa delle implicazioni di interventi cerebrali e del potenziamento cognitivo, o la tecnoetica e l’etica dell’IA che affrontano il comportamento delle macchine e la giustizia algoritmica. Ma la cyber-neuroetica, per quanto preziosa, si limita spesso a questioni neuroscientifiche specifiche e alle cosiddette HMI (human-machine-interface); mentre la tecnoetica e l’etica dell’IA si concentrano più sui sistemi che sulle persone. Ritengo qui necessario proporre un ambito autonomo e sistematico di indagine etica, un ambito che unisca la corporeità umana all’integrazione tecnologica: una “bioetica cibernetica”.

La cibernetica, nata con l’obiettivo di studiare i sistemi autoregolanti, e la neurotecnologia, che sviluppa interfacce tra cervello e dispositivi digitali, non sono più discipline marginali. Esse pongono oggi interrogativi cruciali sull’identità umana, la responsabilità morale e la giustizia sociale. È pertanto necessario integrare pienamente questi ambiti nel dibattito bioetico contemporaneo, riconoscendone la portata trasformativa e le implicazioni etiche senza precedenti.

Le neuroprotesi e le interfacce cervello-computer (BCI) hanno superato la fase sperimentale. Un esempio emblematico è Neuralink, l’azienda fondata da Elon Musk, che nel 2024 ha impiantato un chip cerebrale in un paziente umano consentendogli di muovere un cursore su uno schermo con il pensiero. Un altro caso significativo è quello di Claudia Mitchell, ex marine statunitense, a cui è stato impiantato un braccio bionico collegato direttamente al sistema nervoso, restituendole funzioni motorie complesse, o gli esperimenti attualmente in corso per restituire ai ciechi una vista artificiale attraverso di micro elettrodi nella corteccia del paziente. E l’elenco potrebbe continuare.

Questi esempi illustrano come le tecnologie cibernetiche non si limitino a “riparare” il corpo, ma introducano nuove modalità di essere, modificando la relazione tra mente e corpo. Il rapido sviluppo della neurotecnologia solleva non meno importanti questioni di giustizia sociale: le tecnologie cerebrali sono estremamente costose e potenzialmente in grado di ampliare le disuguaglianze tra chi può permettersele e chi no. I pericoli e i problemi etici sono rilevanti, basti ricordare che in Cile, nel 2021, è stata varata una legge sui neurodiritti, per proteggere l’integrità mentale dei cittadini, sancendo il diritto alla privacy neurale e alla libertà cognitiva. Si tratta di un caso pionieristico che segnala la necessità, da parte della bioetica, di intervenire su temi come:

  • l’accesso equo alle tecnologie di ultima (e di prossima) generazione;
  • la protezione dell’identità personale contro manipolazioni o lettura dei dati cerebrali;
  • la regolamentazione del potenziamento cognitivo e bionico, evitando derive eugenetiche o selettive.

Di fronte a queste trasformazioni, la bioetica non può restare ancorata ai modelli del XX secolo. È necessario accogliere la sfida dell’interdisciplinarità, facendo dialogare neuroscienze, ingegneria, filosofia, diritto e teologia per costruire una bioetica ampliata, capace di rispondere in modo critico, ma anche costruttivo, alle nuove forme dell’umano

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Tags: bioetica, bioetica cibernetica, cibernetica

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